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Indice
Il Mistero pasquale: uno squarcio illuminato dalla fiamma dell’amore -- Rilettura trinitaria del Mistero pasquale alla scuola di san Giovanni della Croce
1. La consegna della Trinità nella croce di Gesù Cristo
2. La Risurrezione: rivelazione del costante amore trinitario
3. L’amore non sta mai ozioso (F 1,8)
Conclusione
Tutte le pagine


3. L’amore non sta mai ozioso (F 1,8)

 

Cogliere gli effetti salvifici del Mistero pasquale, come consegna della Trinità e rivelazione del permanente amore trinitario nei confronti dell’uomo, significa visitare il vissuto storico di coloro che hanno sperimentato e narrato l’incontro con Dio-Trinità. Uno di questi testimoni è Giovanni della Croce (1542-1591).

 

3.1. Fare di Cristo il cuore del mondo (Ef 1, 3-14)

Il “Dottore mistico”, soprannome che la tradizione riserva a Giovanni della Croce, narra nelle sue opere il rapporto tra la storia dell’abbandono trinitario -come storia di un Dio alla ricerca dell’uomo{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma d’amor viva B 3,28.{/footnote}, che ama avvicinarsi tanto da procurare una ferita d’amore{footnote}Ibd., Fiamma B, Strofa 2.{/footnote} che prende l’iniziativa e invade, che reclama uno spazio libero del cuore perché possa planare{footnote}Ibd., Fiamma B 1,15.{/footnote}, che sprona e purifica l’uomo fino a donargli pienamente la vita dello Spirito come grazia trasformante ed unitiva- e la storia dell’abbandono umano, come affidamento a qualcuno che sta dando gioia alla propria vita, che crede in me, che mi rende vivo.

Giovanni della Croce ha un senso vivissimo di Dio e un senso vivissimo dell’uomo. Ha coscienza di un rapporto relazionale, vivo con Dio ed è, nello stesso tempo, sensibile alle luci e alle ombre dell’uomo. Lo sviluppo della sua esperienza e della sua dottrina teologica è come conciliare tutta la vita divina con la vita umana?

Giovanni trova che le due storie, sebbene asimmetriche, rivelano la loro compatibilità e sussidiarietà in Gesù Cristo (Gv 14,6) infatti, come Cristo Gesù, l’uomo-Dio, ha due nature perfette (divina ed umana) e queste sono unificate “senza confusione, senza cambiamento, indivisibilmente e inseparabilmente” (Concilio di Calcedonia) in una persona di Dio, nel Verbo, così la natura umana, attraverso l’unione ipostatica delle due nature nella persona di Cristo, è irrevocabilmente unita con quella divina perché Cristo è, con l’ascensione, eternamente uomo-Dio. Infatti, è asceso al cielo come uomo-Dio e si è assiso alla destra del Padre, pertanto la natura umana assunta è ora intronizzata nella Trinità, nel cuore stesso del Mistero trinitario e nulla potrà separare il destino glorioso di questa natura assunta dal destino della natura umana, di ogni uomo.

Giovanni coglie, inoltre, che il progetto che nasce dalla trascendenza di Dio, ma che coinvolge l’uomo, tutti gli uomini e il cosmo intero, è un progetto che entusiasma Dio, che lo vive nella gioia coinvolgendolo nella sua essenza. Il Mistero pasquale, infatti, non è solo un progetto liberante e salvifico, rispetto all’uomo, ma è anche unitivo e  trasformante, perché l’amore e solo l’amore cambia e avvicina le persone. L’amore riversato nei nostri cuori (Rm 5,5), l’amore messo dove non c’è, produce altro amore, “come il fuoco trasforma ogni cosa in fuoco”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Spunti di amore, 28, Opere, Ed. Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975, p. 1096.{/footnote}. E’ così che Dio fa con noi: ci ama in modo che possiamo riamarlo per mezzo dell’amore che Lui ha per noi. “Quando si giunge a questa meta, l’anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l’anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall’amore divino e si rallegra completamente in esso”{footnote}BENEDETTO XVI, Udienza generale del 16 febbraio 2011.{/footnote}.

Comprendiamo, allora, perché Giovanni della Croce contempla Dio e l’uomo in una intercomunicazione continua, dove il progetto di Dio, realizzato in Cristo, è quello di “engrandecer el alma”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma d’amor viva B 2,3, Ed. OCD, Morena (Roma) 2005, p 63.{/footnote}, dove “dilatare l’anima”, da sottendere sempre l’uomo, non significa renderlo ipertrofico, ma consapevole del proprio limite, della propria dignità, della sua altissima vocazione e missione (Vaticano II, GS, 22), in una parola, fare che l’uomo sia uomo in quanto è l’unica condizione richiesta perché Dio possa divinizzarlo, bagnarlo di vita divina{footnote}Ibd., FB 1,35.{/footnote}, cristificarlo (Ef 1, 3-14).

Dio e l’uomo sono chiamati all’unione totale, “Infatti tutto il desiderio e il fine dell’anima e di Dio in tutte le opere di lei è la consumazione e la perfezione di questo stato [matrimonio spirituale], per cui l’anima non riposa fino a quando non lo raggiunge”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B, 22,6, Ed. OCD, Morena (Roma) 2003, p. 181.{/footnote}. Questa comunione, seguendo l’ispirazione biblica, Giovanni della Croce la cifra attraverso il simbolo sponsale. Certo, si tratta di una similitudine, ma veicola un contenuto. La comunione suppone la complementazione dell’uomo, la sua gioia e, nello stesso tempo, coinvolge Dio perché Dio non può vivere senza l’uomo, così come è incomprensibile Dio senza Cristo{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, 2 Salita del Monte Carmelo cc. 7.22, Ed. Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975.{/footnote}. Si necessitano mutuamente. La novità sanjuanista sta nel fatto che la comprensione di Dio e dell’uomo si realizzano all’unisono: mai l’uno senza l’altro. Sta qui la strettissima relazione tra il Mistero pasquale e l’uomo, tra il Mistero trinitario e l’uomo.

Per Giovanni della Croce è in Cristo che Dio ha manifestato e realizzato la risoluzione della tensione tra Dio e l’uomo, tra la trascendenza e l’insufficienza dell’uomo. La grandezza della sua esperienza e dottrina sta nel non banalizzare mai questa tensione e nel manifestare come avvenga, per grazia, l’unione tra Dio e l’uomo.

 

3.2. Fare della Chiesa il corpo di Cristo (Ef 5, 21-33)

Questa partecipazione di natura e di destino non è una unione esterna o puramente morale, perché la relazione dell’uomo con Cristo non è come quella che si instaura tra un fan e il suo idolo, ma si tratta di una unione con la natura umana deificata di Cristo, una partecipazione al corpo di Cristo. Si tratta, cioè, di una unione che si da nel corpo di Cristo, attraverso la grazia sacramentale, traducendosi esistenzialmente come grazia attuale, conformativa e santificante, come grazia di appartenenza ecclesiale, di alleanza, in quanto parte di un popolo, di una comunità: "Siamo membra del suo corpo" (Ef 5, 30).

In questo senso è nella Chiesa che accade l’unione, perché nella Chiesa tutto tende all’unione, alla “deificazione”: la liturgia, i sacramenti, l’ascolto della Parola, la carità… tutto. La Chiesa, infatti, non è un fan club, una fondazione filantropica o culturale, ma luogo dell’impatto tra Dio-Trinità e l’uomo, spazio vitale, relazionale dove si promuove e si verifica, nella dimensione teologale, quello che genera l’incontro tra l’effimero e l’Eterno, tra la Grazia e l’uomo, tra il progetto di Dio (Ef 1,10) e il desiderio liberato dell’uomo; spazio dove si sperimenta che non si può vivere con meno dell’infinito e che solo l’incontro con Cristo “svela pienamente l’uomo a se stesso”{footnote}Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22.{/footnote}.

In questo spazio concavo, che è il grembo di grazia della Chiesa, e dinanzi all’orizzonte antropologico più allargato, Giovanni della Croce presenta l’esperienza del Mistero pasquale{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B 5,4; 37, Ed. OCD, Morena (Roma) 2003.{/footnote}, storia di un amore mai rassegnato e continuamente donato, come paradigma della vita umana, come cifra della misura alta della vita{footnote}GIOVANNI PAOLO  II, Lettera apostolica, Novo millennio ineunte, 31, LEV, Città del Vaticano 2000.{/footnote}, come percorso di deificazione dell’uomo ma, soprattutto, come esperienza sacramentale/ecclesiale che si compie in prospettiva cristologico sponsale /trinitaria.

Il Santo Dottore, nella strofa 23 del Cantico B, attraverso una catechesi mistagogica, mette insieme mistero pasquale e battesimo. La prospettiva teologica è quella dell’alleanza sponsale, del matrimonio mistico  tra Cristo e la Chiesa, alla luce di tre passaggi fondamentali della storia della salvezza: la caduta nel paradiso, la redenzione sponsale nella Croce, il matrimonio spirituale nel battesimo.

La strofa è la seguente: “Sotto il melo,/ là con me fosti sposata/ là ti diedi la mano/ e fosti risanata/ là dove tua madre fu violata”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico B, Strofa 23 Ed. OCD, Morena (Roma) 2003, p. 43.{/footnote}.

Il commento che segue è di chiaro sapore biblico, oltre che essere intriso di simbolismo sacramentale: “[…] lo Sposo illustra all’anima il modo e il piano meraviglioso che ha messo in atto nel redimerla e fidanzarla a sé…, come in paradiso per mezzo dell’albero proibito la natura umana fu perduta  e corrotta da Adamo, così nell’albero della croce fu redenta e risanata, con darle la mano del suo favore e della sua misericordia per mezzo della sua morte e passione… E così dice: <sotto il melo>, cioè, sotto il favore dell’albero della croce, che qui è significato dal melo, dove il Figlio di Dio redense e di conseguenza sposò a sé la natura umana, e conseguentemente ogni anima, dandole a questo scopo grazia e qualità sulla croce. E così dice: <Là con me fosti sposata,/là ti diedi la mano> del mio favore e del mio aiuto, sollevandoti dalla tua bassa condizione alla mia compagnia e al mio fidanzamento. <E fosti risanata/ là dove tua madre fu violata>”{footnote}Ibd., Cantico B, 23, 2-4, pp. 184-185.{/footnote}.

I termini “compagnia” e “fidanzamento” sono una chiara allusione patristica al mistero dell’Incarnazione redentrice, manifestano radici bibliche (Cantico dei Cantici, Ezechiele 16, 5-14 ed Ef 5,25-27), oltre che evidenti risonanze liturgiche (<O felix culpa> e <O certe necessarium Adae peccatum> del Preconio pasquale).

Tuttavia, il Santo offre la riflessione teologica più pregnante al testo suddetto quando afferma: “Il fidanzamento fatto sulla croce non è quello di cui ora stiamo parlando. Infatti quello è un fidanzamento fatto una volta per tutte, quando Dio diede all’anima la prima grazia, il che avviene con ogni anima nel battesimo. Questo invece è per via di perfezione, e non avviene se non a poco a poco secondo le sue modalità; infatti, benché sia la stessa cosa, la differenza consiste nel fatto che l’uno avviene al passo dell’anima, e così va a poco a poco, e l’altro al passo di Dio, e così avviene tutto insieme”{footnote}Ibd., Cantico B, 23, 6, pp. 185-186.{/footnote}.

Da questo testo si possono trarre tre affermazioni teologiche che fondano la spiritualità cristiana, come spiritualità battesimale:

a) il mistero della redenzione sponsale, realizzata per Cristo sulla Croce, si compie con ogni persona nel battesimo;

b) il battesimo è un vero matrimonio spirituale che si celebra al passo di Dio, con l’efficacia della grazia battesimale;

c) tra il matrimonio sacramentale del battesimo e quello spirituale, al quale si può giungere in questa vita attraverso il cammino della perfezione, non c’è una differenza sostanziale, trattandosi della stessa grazia santificante, la vita in Cristo e nello Spirito. C’è però differenza di modo e di grado in quanto è per via di perfezione, poco a poco, ed è manifestazione della medesima grazia battesimale che tende alla gloria{footnote}J. CASTELLANO, Experiencia del misterio liturgico, in AA.VV., Experiencia y pensamento en San Juan de    la Cruz, EDE, Madrid 1990, pp. 146-147.{/footnote}.

 



Ultimo aggiornamento Sabato 17 Marzo 2012 15:12
 
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