Il Mistero pasquale: uno squarcio illuminato dalla fiamma dell’amore -- Rilettura trinitaria del Mistero pasquale alla scuola di san Giovanni della Croce Stampa



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utti alla ricerca della gioia, con il desiderio di toccarla, di darle una consistenza e, soprattutto, una durata. Ma la gioia, spesso, non raggiunge il tatto perché

chi ha la gioia e vorrebbe trasmetterla ci prova a parole. Ma le parole non bastano più. Non si raggiunge l’altro solo con le parole, ma occorre mettersi in gioco in prima persona, nella carne, nel corpo. Il Mistero pasquale è Dio che si mette in gioco con tutta la sua consistenza dell’essere e, per essere più concreto, con la carne di Gesù di Nazaret, vera cerniera tra l’impegno di rivelazione attraverso la parola e la rivelazione con il fatto dell’incarnazione. L’evangelista Giovanni fa sintesi di questo rapporto affermando: “il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14).

 

In questo processo di umanizzazione della gioia, Dio torna a sedurre la vita, ad incantarla. Come? “Quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me” (Gv 12,32). Ecco il valico aperto attraverso cui la verità si fa permeabile al tatto e la gioia percepibile: la bellezza.

La bellezza è fascino che attira, seduce, riscalda il cuore, è gioia tattile. La bellezza ci “tocca”, ci sfiora come “mano blanda” (carezza), come “toque delicado” (tocco delicato){footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma d’amor viva, Strofa 2, Ed. OCD, Morena (Roma) 2005, p. 32.{/footnote}, solo quando è amore che si realizza e diviene evidenza di un dono: una donna che si fa bella per il marito, una spiaggia che i secoli hanno scavato nella roccia per i nostri occhi, una rosa che un giardiniere ha curato, un capolavoro che è costato fatica e disperazione all’artista, una lezione che un professore ha preparato con rinnovato slancio. E’ ancora l’evangelista Giovanni a suggerirci questo percorso: “Colui che era fin dal principio, colui che noi abbiamo udito, colui che abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che contemplammo e che le nostre mani toccarono, cioè il Verbo della vita” (1 Gv 1,1).

 



1. La consegna della Trinità nella croce di Gesù Cristo


La rivelazione ci porta a considerare che tutta la storia del cosmo e dell’uomo è storia di un amore spinto al massimo, donato all’umanità e progressivamente assunto dal credente, perché generi una vita gioiosa.

L’opera della creazione, come quella della redenzione e glorificazione, rappresentano biblicamente la storia della consegna trinitaria fino a quell’estremo vertice rappresentato dall’incarnazione del Verbo, dalla sua vita pubblica, dal Mistero pasquale.

Gesù Cristo rappresenta il culmine di questo amore gioioso (Mt 5,3-12; Gv 15,11), imprevedibile ed inaudito della Trinità. In Cristo Gesù, infatti, Dio erra storicamente tra le “pecore perdute” (Lc 15,4-7) e realizza l’incontro con l’uomo perduto (Lc 15,11-32). Nella morte di Gesù di Nazaret Dio arriva a porsi contro se stesso, nell’atto estremo di dare la vita all’uomo e salvarlo. Questo, ricorda Benedetto XVI, è l’amore nella sua forma più radicale di consegna{footnote}BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Dio è amore (25 dicembre 2005), n. 12.{/footnote} infatti, in questo consiste l’amore: “Dio ci ha amati per primo” (1 Gv 4,10) e “ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Per questa ragione teologica, i misteri della nostra salvezza (incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo) rivelano il loro senso più profondo come “consegna” trinitaria.

Senza la croce resta indecifrabile la resurrezione del Crocefisso, si rivela una narrazione vuota, così come la croce senza resurrezione rimane un vicolo cieco. Solo se nella croce impariamo a vedere la consegna di tutto Dio e la continuità tra il Crocefisso e il Risorto, si apre uno squarcio di speranza, altrimenti la croce è inaccettabile. Questa prospettiva, quindi, mette in luce che la teologia della “consegna” non sopporta altra struttura che quella trinitaria, perché si accosta al Mistero pasquale cogliendo l’opera salvifica come auto-consegna del Padre nell’atto stesso di dare il Figlio, subendo tutte le ripercussioni di questa opzione, come consegna libera ed obbediente del Figlio ed infine come consegna estrema dello Spirito Santo.

Interpretando la croce e la risurrezione come avvenimento che accade tra Dio e Dio, tra Gesù e il suo Dio che chiama Padre, possiamo dire, con Moltmann, che la forma del Crocefisso è la Trinità{footnote}J. MOLTMANN, Il Dio crocifisso, BTC, Queriniana, Brescia 1973.{/footnote}.

 



2. La Risurrezione: rivelazione del costante amore trinitario

 

Nei discepoli, nei mistici e in tutti i credenti, la Risurrezione fu ed è un fatto prima di essere una confessione esplicita della fede. All’inizio fu l’esperienza di un incontro: Gesù si mostra vivo alle donne (Mc 15,40-41); ai discepoli impauriti e fuggitivi (Mc 14,27.50); ai dissidenti che abbandonano Gerusalemme per tornare ad Emmaus (Lc 24,13-43). Tra la “notte” del venerdì e l’alba della domenica succede qualcosa di straordinario nella vita dei discepoli, qualcosa di talmente impressionante che cambia la paura (Gv 20,19) in coraggio, gioia, pace, slancio missionario (At 4,18-22).

Chiediamoci, perché l’incontro con il Risorto cambia così profondamente la vita dei discepoli? La risposta è possibile solo se ci apriamo, con loro, all’approfondimento trinitario degli avvenimenti pasquali. La risurrezione e la croce, momenti della storia di Gesù di Nazaret, si comprendono come atti nei quali intervenne su di Lui e per Lui “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri” (At 3,13a), che “ha glorificato il suo servo Gesù” (At 3,13b), “nato dalla stirpe di Davide come uomo, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti” (Rm 1,3-4). Questa azione del Padre e la sua iniziativa nello Spirito, sono fondamento sia della continuità nella discontinuità tra il Crocefisso e il Risorto, come pure della continuità nella discontinuità, che deriva da questa, tra gli “uomini vecchi” e paurosi che rinnegano Cristo (Gv 18,15-18.25-27), che “tristi” (Lc 24,17) tornano alle attività di prima, e gli “uomini nuovi” che, con gioia e parresia (At 4,29.31), rendono testimonianza con il proprio sangue.

Le narrazioni di origine catechetica (At 2,36; 10,36; Rm 1,3-5; 1 Cor 12,3; 15,3-8; 2 Cor 4,5; Lc 24,34; Gv 2,22) e liturgica (Fil 2,6-11; Ef 5,14; 1 Tm 3,16) che narrano le due tappe della storia pasquale, l’umiliazione e l’esaltazione, come percorso realizzato da un unico soggetto, non solo mostrano la relazione del Crocifisso con il Risorto, della Croce con la Risurrezione, ma evidenziano anche l’evento dell’unica storia trinitaria di Dio che si fa storia di salvezza e ricapitolazione in Cristo.

2.1. La resurrezione è il grande “si” che il Dio della vita pronuncia sull’Unigenito Figlio e, in lui, sopra ciascuno di noi poiché “Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare ad Israele conversione e perdono dei peccati” (At 5,31). Per questo l’annunzio capace di dare senso ai nostri giorni e alle nostre opere è il seguente: “Cristo è risorto dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati” (1 Cor 15,20). Nella resurrezione il Padre rivela il suo amore ed opera come Creatore, facendo  culminare la sua azione creatrice con la resurrezione (1 Cor 15,3).

2.2. Nella resurrezione il Cristo risorto non solo rivela l’iniziativa del Padre, ma prende attiva posizione rispetto alla sua storia e a quella degli uomini, come attesta la più antica tradizione neotestamentaria: “Cristo è risorto” (Mc 16,6; Mt 27,64; 28,6; Lc 24,6.34; 1Ts 4,14; 1 Cor 15,3-5; Rm 8,34; Gv 21,14). Questo suo ruolo attivo nell’avvenimento pasquale non contraddice l’iniziativa del Padre (Rm 6,4); infatti, se all’estrema obbedienza del Figlio corrispondeva il lasciarsi resuscitare dal Padre, allo steso modo, in forma non meno reale, corrisponde che “come il Padre ha la vita in se stesso, così anche al Figlio ha dato di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26). Questa correlazione tra la libertà del Padre di risuscitare il Figlio e la libertà del Figlio di mostrarsi vivo viene raccolta da una delle formule kerygmatiche più antiche: “Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34; 1 Cor 15,3b-5).

Nel mostrarsi dell’abbandonato, del blasfemo e rivoluzionario, la vita vince la morte e il vinto è ora il Signore della vita (Rm 5,12-7,25).

2.3. La resurrezione è anche rivelazione dello Spirito, dato che Cristo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, è stato “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti” (Rm 1,3-4), “consegnato alla morte nella carne è stato vivificato nello Spirito” (1 Pt 3,18).

Nell’esperienza pasquale, lo Spirito viene dato per mezzo del Padre al Figlio perché l’Umiliato venga esaltato e il Crocefisso viva la vita nuova del Risorto; ma è anche lo stesso Spirito che Gesù dona secondo la sua promessa: “lo ha effuso (lo Spirito), come voi ora vedete e udite” (At 2,33.38; 1,4-5; Lc 24,49; Gv 14,16; 15,26; 16,7.13-14).

Lo Spirito si rivela nel fatto pasquale in quanto costituisce il doppio vincolo tra Dio e Cristo, tra il Risorto e noi. E’ lo Spirito che unisce il Padre con il Figlio, resuscitando Gesù dai morti, ed è lo stesso Spirito che unisce gli uomini con il Risorto riversandosi nei nostri cuori (Rm 5,5), facendoci vivere una vita nuova, non più sotto la legge ma secondo lo Spirito (Rm 8,1-17).

 



3. L’amore non sta mai ozioso (F 1,8)

 

Cogliere gli effetti salvifici del Mistero pasquale, come consegna della Trinità e rivelazione del permanente amore trinitario nei confronti dell’uomo, significa visitare il vissuto storico di coloro che hanno sperimentato e narrato l’incontro con Dio-Trinità. Uno di questi testimoni è Giovanni della Croce (1542-1591).

 

3.1. Fare di Cristo il cuore del mondo (Ef 1, 3-14)

Il “Dottore mistico”, soprannome che la tradizione riserva a Giovanni della Croce, narra nelle sue opere il rapporto tra la storia dell’abbandono trinitario -come storia di un Dio alla ricerca dell’uomo{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma d’amor viva B 3,28.{/footnote}, che ama avvicinarsi tanto da procurare una ferita d’amore{footnote}Ibd., Fiamma B, Strofa 2.{/footnote} che prende l’iniziativa e invade, che reclama uno spazio libero del cuore perché possa planare{footnote}Ibd., Fiamma B 1,15.{/footnote}, che sprona e purifica l’uomo fino a donargli pienamente la vita dello Spirito come grazia trasformante ed unitiva- e la storia dell’abbandono umano, come affidamento a qualcuno che sta dando gioia alla propria vita, che crede in me, che mi rende vivo.

Giovanni della Croce ha un senso vivissimo di Dio e un senso vivissimo dell’uomo. Ha coscienza di un rapporto relazionale, vivo con Dio ed è, nello stesso tempo, sensibile alle luci e alle ombre dell’uomo. Lo sviluppo della sua esperienza e della sua dottrina teologica è come conciliare tutta la vita divina con la vita umana?

Giovanni trova che le due storie, sebbene asimmetriche, rivelano la loro compatibilità e sussidiarietà in Gesù Cristo (Gv 14,6) infatti, come Cristo Gesù, l’uomo-Dio, ha due nature perfette (divina ed umana) e queste sono unificate “senza confusione, senza cambiamento, indivisibilmente e inseparabilmente” (Concilio di Calcedonia) in una persona di Dio, nel Verbo, così la natura umana, attraverso l’unione ipostatica delle due nature nella persona di Cristo, è irrevocabilmente unita con quella divina perché Cristo è, con l’ascensione, eternamente uomo-Dio. Infatti, è asceso al cielo come uomo-Dio e si è assiso alla destra del Padre, pertanto la natura umana assunta è ora intronizzata nella Trinità, nel cuore stesso del Mistero trinitario e nulla potrà separare il destino glorioso di questa natura assunta dal destino della natura umana, di ogni uomo.

Giovanni coglie, inoltre, che il progetto che nasce dalla trascendenza di Dio, ma che coinvolge l’uomo, tutti gli uomini e il cosmo intero, è un progetto che entusiasma Dio, che lo vive nella gioia coinvolgendolo nella sua essenza. Il Mistero pasquale, infatti, non è solo un progetto liberante e salvifico, rispetto all’uomo, ma è anche unitivo e  trasformante, perché l’amore e solo l’amore cambia e avvicina le persone. L’amore riversato nei nostri cuori (Rm 5,5), l’amore messo dove non c’è, produce altro amore, “come il fuoco trasforma ogni cosa in fuoco”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Spunti di amore, 28, Opere, Ed. Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975, p. 1096.{/footnote}. E’ così che Dio fa con noi: ci ama in modo che possiamo riamarlo per mezzo dell’amore che Lui ha per noi. “Quando si giunge a questa meta, l’anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l’anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall’amore divino e si rallegra completamente in esso”{footnote}BENEDETTO XVI, Udienza generale del 16 febbraio 2011.{/footnote}.

Comprendiamo, allora, perché Giovanni della Croce contempla Dio e l’uomo in una intercomunicazione continua, dove il progetto di Dio, realizzato in Cristo, è quello di “engrandecer el alma”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma d’amor viva B 2,3, Ed. OCD, Morena (Roma) 2005, p 63.{/footnote}, dove “dilatare l’anima”, da sottendere sempre l’uomo, non significa renderlo ipertrofico, ma consapevole del proprio limite, della propria dignità, della sua altissima vocazione e missione (Vaticano II, GS, 22), in una parola, fare che l’uomo sia uomo in quanto è l’unica condizione richiesta perché Dio possa divinizzarlo, bagnarlo di vita divina{footnote}Ibd., FB 1,35.{/footnote}, cristificarlo (Ef 1, 3-14).

Dio e l’uomo sono chiamati all’unione totale, “Infatti tutto il desiderio e il fine dell’anima e di Dio in tutte le opere di lei è la consumazione e la perfezione di questo stato [matrimonio spirituale], per cui l’anima non riposa fino a quando non lo raggiunge”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B, 22,6, Ed. OCD, Morena (Roma) 2003, p. 181.{/footnote}. Questa comunione, seguendo l’ispirazione biblica, Giovanni della Croce la cifra attraverso il simbolo sponsale. Certo, si tratta di una similitudine, ma veicola un contenuto. La comunione suppone la complementazione dell’uomo, la sua gioia e, nello stesso tempo, coinvolge Dio perché Dio non può vivere senza l’uomo, così come è incomprensibile Dio senza Cristo{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, 2 Salita del Monte Carmelo cc. 7.22, Ed. Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975.{/footnote}. Si necessitano mutuamente. La novità sanjuanista sta nel fatto che la comprensione di Dio e dell’uomo si realizzano all’unisono: mai l’uno senza l’altro. Sta qui la strettissima relazione tra il Mistero pasquale e l’uomo, tra il Mistero trinitario e l’uomo.

Per Giovanni della Croce è in Cristo che Dio ha manifestato e realizzato la risoluzione della tensione tra Dio e l’uomo, tra la trascendenza e l’insufficienza dell’uomo. La grandezza della sua esperienza e dottrina sta nel non banalizzare mai questa tensione e nel manifestare come avvenga, per grazia, l’unione tra Dio e l’uomo.

 

3.2. Fare della Chiesa il corpo di Cristo (Ef 5, 21-33)

Questa partecipazione di natura e di destino non è una unione esterna o puramente morale, perché la relazione dell’uomo con Cristo non è come quella che si instaura tra un fan e il suo idolo, ma si tratta di una unione con la natura umana deificata di Cristo, una partecipazione al corpo di Cristo. Si tratta, cioè, di una unione che si da nel corpo di Cristo, attraverso la grazia sacramentale, traducendosi esistenzialmente come grazia attuale, conformativa e santificante, come grazia di appartenenza ecclesiale, di alleanza, in quanto parte di un popolo, di una comunità: "Siamo membra del suo corpo" (Ef 5, 30).

In questo senso è nella Chiesa che accade l’unione, perché nella Chiesa tutto tende all’unione, alla “deificazione”: la liturgia, i sacramenti, l’ascolto della Parola, la carità… tutto. La Chiesa, infatti, non è un fan club, una fondazione filantropica o culturale, ma luogo dell’impatto tra Dio-Trinità e l’uomo, spazio vitale, relazionale dove si promuove e si verifica, nella dimensione teologale, quello che genera l’incontro tra l’effimero e l’Eterno, tra la Grazia e l’uomo, tra il progetto di Dio (Ef 1,10) e il desiderio liberato dell’uomo; spazio dove si sperimenta che non si può vivere con meno dell’infinito e che solo l’incontro con Cristo “svela pienamente l’uomo a se stesso”{footnote}Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22.{/footnote}.

In questo spazio concavo, che è il grembo di grazia della Chiesa, e dinanzi all’orizzonte antropologico più allargato, Giovanni della Croce presenta l’esperienza del Mistero pasquale{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B 5,4; 37, Ed. OCD, Morena (Roma) 2003.{/footnote}, storia di un amore mai rassegnato e continuamente donato, come paradigma della vita umana, come cifra della misura alta della vita{footnote}GIOVANNI PAOLO  II, Lettera apostolica, Novo millennio ineunte, 31, LEV, Città del Vaticano 2000.{/footnote}, come percorso di deificazione dell’uomo ma, soprattutto, come esperienza sacramentale/ecclesiale che si compie in prospettiva cristologico sponsale /trinitaria.

Il Santo Dottore, nella strofa 23 del Cantico B, attraverso una catechesi mistagogica, mette insieme mistero pasquale e battesimo. La prospettiva teologica è quella dell’alleanza sponsale, del matrimonio mistico  tra Cristo e la Chiesa, alla luce di tre passaggi fondamentali della storia della salvezza: la caduta nel paradiso, la redenzione sponsale nella Croce, il matrimonio spirituale nel battesimo.

La strofa è la seguente: “Sotto il melo,/ là con me fosti sposata/ là ti diedi la mano/ e fosti risanata/ là dove tua madre fu violata”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico B, Strofa 23 Ed. OCD, Morena (Roma) 2003, p. 43.{/footnote}.

Il commento che segue è di chiaro sapore biblico, oltre che essere intriso di simbolismo sacramentale: “[…] lo Sposo illustra all’anima il modo e il piano meraviglioso che ha messo in atto nel redimerla e fidanzarla a sé…, come in paradiso per mezzo dell’albero proibito la natura umana fu perduta  e corrotta da Adamo, così nell’albero della croce fu redenta e risanata, con darle la mano del suo favore e della sua misericordia per mezzo della sua morte e passione… E così dice: <sotto il melo>, cioè, sotto il favore dell’albero della croce, che qui è significato dal melo, dove il Figlio di Dio redense e di conseguenza sposò a sé la natura umana, e conseguentemente ogni anima, dandole a questo scopo grazia e qualità sulla croce. E così dice: <Là con me fosti sposata,/là ti diedi la mano> del mio favore e del mio aiuto, sollevandoti dalla tua bassa condizione alla mia compagnia e al mio fidanzamento. <E fosti risanata/ là dove tua madre fu violata>”{footnote}Ibd., Cantico B, 23, 2-4, pp. 184-185.{/footnote}.

I termini “compagnia” e “fidanzamento” sono una chiara allusione patristica al mistero dell’Incarnazione redentrice, manifestano radici bibliche (Cantico dei Cantici, Ezechiele 16, 5-14 ed Ef 5,25-27), oltre che evidenti risonanze liturgiche (<O felix culpa> e <O certe necessarium Adae peccatum> del Preconio pasquale).

Tuttavia, il Santo offre la riflessione teologica più pregnante al testo suddetto quando afferma: “Il fidanzamento fatto sulla croce non è quello di cui ora stiamo parlando. Infatti quello è un fidanzamento fatto una volta per tutte, quando Dio diede all’anima la prima grazia, il che avviene con ogni anima nel battesimo. Questo invece è per via di perfezione, e non avviene se non a poco a poco secondo le sue modalità; infatti, benché sia la stessa cosa, la differenza consiste nel fatto che l’uno avviene al passo dell’anima, e così va a poco a poco, e l’altro al passo di Dio, e così avviene tutto insieme”{footnote}Ibd., Cantico B, 23, 6, pp. 185-186.{/footnote}.

Da questo testo si possono trarre tre affermazioni teologiche che fondano la spiritualità cristiana, come spiritualità battesimale:

a) il mistero della redenzione sponsale, realizzata per Cristo sulla Croce, si compie con ogni persona nel battesimo;

b) il battesimo è un vero matrimonio spirituale che si celebra al passo di Dio, con l’efficacia della grazia battesimale;

c) tra il matrimonio sacramentale del battesimo e quello spirituale, al quale si può giungere in questa vita attraverso il cammino della perfezione, non c’è una differenza sostanziale, trattandosi della stessa grazia santificante, la vita in Cristo e nello Spirito. C’è però differenza di modo e di grado in quanto è per via di perfezione, poco a poco, ed è manifestazione della medesima grazia battesimale che tende alla gloria{footnote}J. CASTELLANO, Experiencia del misterio liturgico, in AA.VV., Experiencia y pensamento en San Juan de    la Cruz, EDE, Madrid 1990, pp. 146-147.{/footnote}.

 


 

Conclusione


La bellezza e la garanzia di questo percorso pasquale, che coinvolge tutto Dio e tutto l’uomo, risiede nella fedeltà di Dio in Cristo Gesù: “infatti, in fin dei conti, lo fa come Dio, per mostrare chi è”{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico B 33,8, o.c., P. 246.{/footnote}.

L’obiettivo del percorso pasquale, come mistero di amore, è tutto racchiuso nella deificazione dell’uomo; per tale scopo il Verbo è divenuto uomo, è morto sulla croce ed è risorto. Tuttavia questa prospettiva pasquale è cifrata dalla consegna trinitaria, consegna che permette all’uomo e alla creazione intera di risplendere come luce nella Luce, mettendo l’uomo nella condizione di essere per grazia quello che non era per natura: dio per partecipazione{footnote}GIOVANNI DELLA CROCE, Spunti di amore, 28, Opere, Ed. Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975, p. 1096.{/footnote}.

Le persone sono state create ad immagine di Dio perché possano diventare partecipi della natura divina (cfr 2 Pt 1,3-4), della vita trinitaria. Pertanto, al cuore dell'atto divino della creazione c'è il desiderio divino di fare spazio alle persone create nella comunione delle Persone increate della Santissima Trinità, attraverso la partecipazione adottiva in Cristo.

Vi è un unico cammino in cui lo Spirito di Dio configura il credente a Cristo Signore per vivere nell’eternità insieme con Dio Padre. E’ lo Spirito che rende la vita del credente santa ad immagine della Santissima Trinità. Dio comunica la sua vita alla creatura, lo fa partecipe della sua intimità. Rivela il suo amore per realizzare una familiarità cosmica.

 

Per questa ragione, la conformazione a Cristo è il cuore stesso della vita della Chiesa, il fine a cui tutta la creazione tende, “gemendo insieme” (Rm 8,22), per usare l'espressione Paolina, finché Dio sia "tutto in tutti" (1 Cor 15,28) nella pienezza escatologica anticipata nella Resurrezione di Cristo e celebrata, fin d'ora, nella partecipazione ai santi Misteri. In questo cammino  la Chiesa e i sacramenti svolgono un ruolo fondamentale per crescere in senso personale e comunitario, facendo della vita mistica una mistica ecclesiale, perché in ogni credente si realizza il mistero di Dio fatto carne, morto e risorto.

 

 

P. Luigi Gaetani

Carmelitano Scalzo

 



Ultimo aggiornamento Sabato 17 Marzo 2012 15:12