5° anniversario dalla scomparsa di Suor Lucia Stampa
Martedì 09 Febbraio 2010 16:07

Oggi 13 Febbraio 2010 ricorre il quinto anniversario dalla scomparsa di Suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato (Lucia dos Santos), carmelitana scalza, testimone delle apparizioni della Vergine Maria a Fatima. Di seguito riportiamo la testimonianza che  a pochi giorni dalla sua scomparsa scrisse P. Luigi OCD presente solenni funerali nella cattedrale di Coimbra il13 febbraio 2005. Per ulteriori approfondimenti è possibile visitare il sito del Carmelo di Coimbra http://coimbra.carmelitas.pt/

 

 

Sr. Lucia, una Carmelitana Scalza nel cuore della Chiesa e del mondo


Nei miei occhi conservo nitida l’immagine dei fazzoletti bianchi che migliaia di persone sventolano nella cattedrale di Coimbra, sul sagrato, lungo il percorso che dalla c hiesa, dove si è celebrata l’Eucaristia presieduta dall’inviato speciale del Papa, il Cardinale Tarcisio Bertone, porta fino al monastero delle Carmelitane Scalze, quale segno affettuoso e festante riservato a suor Lucia.

Mi sembra di ascoltare ancora i canti dedicati alla Vergine di Fatima che il popolo canta sapendo di tessere una lode a Sr. Lucia, la mariforme. In quel canto intravedo tutta lasapienza dei semplici, che la Chiesa ha sempre ascoltato con attenzione, sapienza che li rende capaci di scrutare nel più profondo del mistero della vita, di elaborare una teologia a portata di mano, di intuire i sentieri su cui camminano i santi.

Ho ancora una vivissima l’immagine di tanti giovani universitari, che hanno fatto dei loro mantelli come un grande tappeto su cui far passare la salma di Sr. Lucia in quest’ultimo transito lungo il campus universitario, quasi come se la loro fosse una immensa carezza sul corpo di lei, un atto di amore ad una sorella e madre.

Questo stralcio di cronaca rivela che c’è un morire che non fa paura, un incontrare la morte che non atterrisce perché fondato su un dato: la vita della persona attraversata dalla morte non è stata una vita sciupata, ma vissuta con intensa passione, nella ricerca continua del senso, nella relazione. Questo ho potuto leggere nell’incrocio dei volti di tante persone che sono sfilate davanti al feretro di Sr. Lucia, fissando il suo volto sereno e luminoso. Affermare questa evidenza, in una cultura come la nostra, che fa fatica a vivere il limite del tempo e del morire, mi sembra già un elemento da raccontare. Se poi lo si associa alla serenità di relazione con il corpo di suor Lucia testimoniata da parte delle sue Consorelle, la Comunità delle Carmelitane Scalze di Coimbra, una serenità manifestata con una carezza, un bacio, la cura nell’ordinargli l’abito, nello spargere la bara di fiori, nella foto ricordo, tutto questo assurge ad un modello culturale tipologico che educa al recupero del morire umano dentro spazi di compagnia, di umanità, di personalizzazione.

In questa esperienza della morte non più mistificata, il corpo di suor Lucia non rappresenta un limite, ma un vero sacramentale, luogo della frontiera che fa vedere e intravedere, che rivela oltre l’effimero e le molteplici divisioni tra la componente materiale e spirituale della persona umana. Il suo corpo ora è fatto memoria, riassunto della sua vita, arco di relazioni e sforatura della stessa fisicità. Tutto questo fa comprendere il perché dell’ultima volontà di suor Lucia, quella cioè di non essere subito traslata da Coimbra a Fatima, luogo dell’infanzia e del Mistero, ma permanere nella sua fisicità, almeno un’altro anno, tra le mura della casa di Coimbra, in mezzo alla sua Comunità.

Suor Lucia, cambiando quanto aveva precedentemente espresso e sottoscritto, forse, avrà contristato qualcuno, ma, sicuramente, ha testimoniato l’ulteriore spazio della maturazione della sua vita, il migliore equilibrio tra la componente mistica della sua esistenza redenta e quella antropologica. Infatti, quella determinazione non rappresenta soltanto un segno di gratitudine nei confronti delle Sorelle con le quali ha vissuto cinquantasette anni, entrò nel Carmelo di Coimbra nel 1948, ma un’altro modo – tutto cristiano - di raccontare lacomunione che permane, dentro una continuità di vita fatta di affetti, di memoria, di carne, rappresenta l’ulteriore abbraccio tra suor Lucia e la Chiesa locale, che ha amato e servito, tra suor Lucia e la stessa popolazione di Coimbra, a cui sentiva di appartenere e dalla quale è stata amata nel rispetto del suo silenzio e della sua riservatezza, imparando a leggere nei suoi occhi di sorella e sulle sue labbra sorridenti la dolce presenza della Vergine Maria.

E’ morta a novantasette anni, dopo aver letto il messaggio che sua Santità, Giovanni Paolo II, le aveva inviato. E’ morta con questo affettuoso abbraccio via fax tra le mani, quasi come se attendesse, prima di intraprendere l’ultimo viaggio pasquale, la parola amica e l’ultimo saluto di Colui al quale sentiva tanto legata la sua esistenza. “Amo pensare – scrive il Papa nella lettera inviata tramite il cardinale Tarcisio Bertone – che ad accogliere suor Lucia nel pio transito dalla terra al cielo sia stata proprio Colei che ella vide a Fatima tanti anni or sono”. E’ morta, così come desiderava S. Teresa per ogni figlia e figlio del Carmelo riformato, nell’abbraccio materno della Chiesa, abbraccio che si è ulteriormente manifestato nella presenza di trentasei Vescovi concelebranti, nella presenza dei Superiori dell’Ordine, nella presenza di tanta parte del popolo di Dio.

Fatima perde così la sua ultima protagonista. Tanto tempo è passato da quel lontano 13 maggio 1917 quando, avendo appena dieci anni, ebbe l’indimenticabile incontro. La scomparsa di suor Lucia è dunque la fine di un tempo contrassegnato da grandi sconvolgimenti nella storia dell’umanità, nel bene e nel male, nelle conquiste e nei rinnovati individualismi imperialistici. Fine di un tempo che abbiamo denominato “secolo breve”, ma che sembrava non finisse mai, così bagnato di sangue e abitato da immenso dolore, seminato di terrore e morte: dalle due guerre mondiali alle innumerevoli guerre dimenticate, dai campi di sterminio tedeschi ai gulasch sovietici, dalla guerra fredda alla globalizzazione selvaggia.

Il questo secolo breve, la vita di suor Lucia è stata contrassegnata da sei apparizioni della Vergine nella Cova da Iria: il 13 maggio, il 13 giugno, il 13 luglio, il 19 agosto, il 13 settembre, il 13 ottobre del 1917. A queste apparizioni, condivise con GiacintaFrancisco, bisogna aggiungere quelle di Porto, nel 1923, e quella del 1929 quando la Vergine le chiederà di promuovere la “consacrazione della Russia” al suo “Cuore immacolato”. Il patrimonio, poi, della sua vita interiore suor Lucia lo consegna a quattro memorie scritte in tempi diversi: nel 1935 sulla vita e le virtù di Giacinta, nel 1937 sulla storia della propria vita e delle apparizioni, nel 1941 altri particolari sugli avvenimenti del 1917. La terza parte del “segreto”, redatto nel gennaio del 1944, fu consegnata da suor Lucia al vescovo di Leiria e da questi inoltrata in Vaticano, perché secondo la veggente essa era da rendere nota soltanto dopo il 1960 e per decisione del Papa. I tre Papi che vissero in quel tempo, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, non ritennero opportuno pubblicare il “segreto”. Giovanni Paolo II se lo fece portare al Gemelli, dov’era ricoverato dopo l’attentato del 13 maggio 1981 e, avendolo letto, si riconobbe nel “vescovo vestito di bianco”. Chiese parere per fare un discernimento più oculato, ma le risposte che gli vennero furono negative. Il Papa attese ancora per diciannove anni, ma arrivato il 2000, l’anno del grande Giubileo, ritenne maturo il tempo per la pubblicazione del testo perché, a suo giudizio, era da considerarsi chiuso il ciclo della “persecuzione” a cui la Chiesa era stata assoggettata dai regimi totalitari del ventesimo secolo. Il Papa ha letto, infatti, il messaggio di Fatima come il segno della sollecitudine della Vergine dinanzi all’umanità tentata di abbandonare la fede cristiana, costretta all’apostasia o alla dimenticanza della propria fede da parte dei regimi totalitari.

Nessun cattolico è tenuto a credere a questo genere di rivelazioni, tuttavia è innegabile che le apparizioni di Fatima e i suoi “segreti” abbiano rappresentato come una mappa nell’incerto cammino del XX secolo. Una mappa che nel tempo, per qualche motivo, si è rivelata indeterminata, mancante: additò il pericolo della Russia e non la barbarie hitleriana; indicava il trionfo del Cuore immacolato della Vergine  e la conversione della Russia, e  questo sembra realizzatosi solo in modo imperfetto; il vescovo vestito di bianco non è stato ucciso, ma solo ferito. Tutto questo lascia perplessi coloro che non sanno che il futuro non è scritto nemmeno in Cielo e che la libertà dell’uomo lo rende indeterminato. Lascia sconcertati coloro che fanno fatica a riconoscere che una donna, la madre di Gesù di Nazareth, “vede raggiunti i livelli di guardia da un mondo che boccheggia nella tristezza, e invoca da suo figlio non tanto uno strappo alla legge della natura, quanto uno strappo alla natura della legge… <Non hanno più vino>. Non è il tratto di una provvidenziale gentilezza che sopraggiunge per evitare la mortificazione di due sposi. E’ un grido di allarme che sopraggiunge per evitare la morte del mondo” (Bello Antonio, Maria, donna dei nostri giorni, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo –MI- 1993, p. 68). Fatima, con i suoi messaggi, è la concretizzazione ulteriore di questa provvida presenza di Maria nella storia dell’umanità, rappresenta l’ulteriore estensione dell’amore materno che arriva a stare sullo scenario del Venerdì santo, pietrificata dal dolore, accanto al Figlio benedetto, vivendo insieme con Lui il dramma dell’umana redenzione, rappresenta il punto di contatto col cielo che preserva la terra dal tragico black-out della grazia.

In questa prospettiva teologica, “nostra Signora” è Colei che prende per mano l’umanità per guidarla fino alle soglie della luce pasquale. E’ la “bella Signora” che insieme con l’umanità “fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare” (Ib., Mari, donna dei nostri giorni, p. 94). Scrive suor Lucia scrive nella terza parte del segreto, quasi a suggerirci che Maria di Nazareth abita gli snodi della storia dell’umanità: “Abbiamo visto… un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembravano dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava” (Dalla terza parte del segreto).

Nostra Signora, ha rappresentato come un punto di non ritorno nella vita di suor Lucia, è stata tutta ammantata da Lei, l’ha irradiata fino alla fine coinvolgendo, quasi come un corpo in stato di espansione, i suoi pensieri, gli affetti, le scelte. Questa esperienza ha come catturato la sua esistenza di ragazza, di adolescente, di giovane, fino all’ultimo respiro del 13 febbraio 2005. Per noi tutti, suor Lucia è stata, fondamentalmente, la veggente di Fatima. Le sue visioni sono state come una costante, un dato permanente, come se tutta l’esistenza di questa persona fosse stata assorbita, riassunta totalmente in quegli accadimenti del 1917 e il resto della sua lunga vita solo una esplicitazione di quanto in essi significato e contenuto. Mi piace leggere così l’impatto tra l’effimero, che è stata suor Lucia, e l’Eterno, mediato dalla Madre di Dio, “nostra Signora”, come un incontro che ha riversato nel “frammento” il “senso”. Tutte le apparizioni e le stesse rivelazioni, altro non sono se non la storia di questo impatto che consente ad una persona – in questo caso suor Lucia - di vivere, con piena avvertenza, il senso del limite e quello del Mistero. Solo chi ha, almeno una volta nella vita portato il peso del mistero, può capire come si possa vivere il quotidiano e lo scorrere dei giorni.

Ripensiamo, allora, quanto suor Lucia ha vissuto, perché riconoscere che l’esperienza della Cova da Iria è la storia di un incontro profondo, non significa allontanarlo dalla nostra vita, non vuol dire che è incomprensibile. E sebbene, nel tentativo di dirlo, il linguaggio si rivela criptico, simbolico e il genere letterario apocalittico, questo non vuol dire che non ci riguarda o che è qualcosa di misterioso. A ben guardare questa esperienza non è così lontana da noi, ma sta dentro il nostro stesso vivere, è la storia di tanti uomini e di tante donne. Basta fermarsi un attimo per comprenderlo. Forse che non ti prende la vita nel più profondo quando ti innamori? O non ti sei accorto che la nascita di un figlio ti cambia la vita? Che certi avvenimenti ti sconvolgono l’esistenza? E quante volte hai sentito il bisogno di parlare con la persona amica attraverso il linguaggio dei segni, ricorrendo ad una terminologia propria? Quante volte un gruppo di amici racconta spaccati di vita che assumono una valenza immensa solo per chi li ha vissuti? Tutto questo per dire che la vita, in se stessa, è un peso di misteri.

Suor Lucia ha vissuto questa esperienza del mistero, ed ha dovuto imparare, Lei, appena ragazza, a portare il peso del Mistero. Ha fatto un’esperienza così forte del divino che tutto il mondo ha dovuto prenderne atto. Così possiamo raccontare quello che avvenne nella Cova da Iria, nella desolata brughiera battuta dal vento dell’Atlantico, perché risulta davvero difficile negare che “qualcosa” di grande e terribile sia successo nel 1917 in quell’angolo di Portogallo, quando abbiamo fotografie, spezzoni cinematografici che mostrano una moltitudine di decine di migliaia di persone prima sconvolte e poi in fuga, terrorizzate dal sole che “danzava” e che poi, roteando, sembrò precipitarsi sulla terra per incendiarla. E’ difficile pensare ad una illusione collettiva, quando liberi pensatori, spiriti forti e anticlericali radicali, recatisi alla Cova per burlarsi della “superstizione” cristiana, non solo non osarono negare la realtà di quanto osservato con i loro occhi critici, ma molti si convertirono al cattolicesimo.

Fin qui la storia di suor Lucia “veggente di Fatima”, la persona cui è toccata un’esperienza straordinaria del Mistero. Da oggi, sarebbe bello incominciare a raccontare suor Lucia come la Carmelitana Scalza morta nel monastero di Coimbra, come la donna capace di incarnare questa esperienza nella vita ordinaria, nella storia delle relazioni con le sue consorelle, nella vita della Chiesa e del mondo, nella sofferenza legata ai suoi problemi di salute, nel non sentirsi compresa, nel vivere il travaglio di una solitudine immensa, nell’oscuro cammino di fede, vivendo “sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Aposolicam actuositatem, 4), come Maria di Nazareth. Scoprire questo aspetto della vita di suor Lucia ci consentirà di apprezzarla ulteriormente non per il fatto di essere stata, come Messori ha detto, “una santa annunciata, una persona predestinata sin da viva alla gloria del Canone” (Messori Vittorio, Corriere della Sera, 15 febbraio 2005), ma per aver vissuto all’interno di un vissuto comunitario tra pentole e telai, tra silenzi e parole, tra lacrime e preghiere, senza privilegi, senza incutere paura, ma alla scuola del quotidiano che rappresenta il vero cantiere della verità di un’esistenza, il vero altare che da senso e spessore all’umanità.

Io preferisco parlare così di suor Lucia, perché così ho avuto la fortuna di conoscerla incontrandola per due volte nel corso dell’anno 2004: una donna senza alcuna forma di ostentato distacco, senza alcuna aureola, ma una sorella serena, disponibile al dialogo fino all’umorismo, sempre pronta a donarti un sorriso di pacesemplice come le nostre nonne, appassionata della Chiesa, attenta agli avvenimenti del mondo, contenta di farti piacere scattando una foto insieme, felice di essere Carmelitana Scalza.

Roma, 24.02.2005

P. Luigi Gaetani, OCD

Ultimo aggiornamento Venerdì 12 Febbraio 2010 23:45